“C’è chi crede e chi non crede” (Parte II)


Nella precedente riflessione “C’è chi crede e chi non crede” (Parte I) ho cercato di mostrare come la fede sia un atteggiamento costitutivo dell’essere umano. Per sostenere questa tesi ho indicato sommariamente come molte delle nostre quotidiane certezze non siano in realtà che inconsci atti di fede. Tra queste, per esempio, troviamo la Storia e l’idea comunemente accettata secondo la quale il mondo esterno è materiale.
Non credo che ci sia bisogno di sottolineare come questo discorso sia volto a mostrare l’inconsistenza di alcuni atteggiamenti che cercano di contrapporre la fede alla visione razionale e scientifica del mondo. Sottolineo invece che sto ancora parlando di fede in generale e non ancora parlando della fede in Gesù Cristo per alcuni precisi motivi che vorrei discutere in seguito.
Torniamo per un attimo alla mentalità comune oggi largamente dominante. A me pare, come dicevo, che essa voglia minare la credibilità stessa della fede contrapponendola alla ragione scientifica. Ed in questo tentativo la mentalità comune oggi dominante ha senz’altro buon gioco in quanto – sempre per la mentalità comune – la fede, ovvero tutte le fedi, sembrano fonte di divisioni, discriminazioni, guerre, regresso della civiltà ad una fase medievale oscurantista, mentre al contrario il progresso scientifico avanza inarrestabile in tutto il pianeta portando ovunque risultati tangibili, di cui tutti possiamo godere (nel senso però di “consumare” – ma anche su questo punto rimando ad una discussione che vorrei proporre più avanti).
Un mio caro amico, pugile giovane e promettente, mi spiegava durante i nostri allenamenti che nel pugilato non bisogna mai concedere nulla all’avversario. Mi diceva queste cose e poi me le suonava di santa ragione: un solo pugno in più, spiegava, poteva essere quello decisivo. Allora frequentavo l’Università e ho visto subito la coerenza perfetta con la scienza dell’argomentazione: anche nella discussione filosofica non dobbiamo mai concedere nulla agli avversari.

Ora, a mio modo di vedere, nell’incontro di pugilato con quel temibile avversario che è l’ateismo, dobbiamo tenere presente un colpo piuttosto temibile, ovvero un altro atteggiamento di fondo, che è tanto più pericoloso quanto seducente e capillarmente diffuso. Esso è – come ha magistralmente spiegato Benedetto XVI – il Relativismo.
A me pare che non possiamo ingaggiare un duello soddisfacente con il Relativismo se non teniamo presente che esso si fonda sul materialismo ed è a questa corrente di pensiero perfettamente correlato. 
Relativismo e materialismo sono l'uno-due, il sinistro-destro dell'ateo.

Il Relativismo, per sprigionare la sua forza distruttiva di valori e di verità, ha infatti costantemente bisogno di affermare che l’unica realtà, la vera e sol realtà, è quella fisico-materiale. Solo se non esiste – o risulta del tutto opinabile – un ulteriore livello metafisico, infatti, l’uomo non è più chiamato a confrontarsi con una Verità superiore, alla quale faticosamente e responsabilmente adeguarsi.

Il Relativismo afferma che non esiste una verità assoluta, men che meno, ovviamente, con una "V" maiuscola. L’evidenza della sua contraddizione logica è ben nota in filosofia, basta aver letto Platone o Husserl, giusto per fare due nomi di giganti del pensiero. Ma nel clima odierno, per la comune sensibilità relativista, ogni contraddizione logica è in fondo poco importante, mai decisiva per valutare la validità di un argomento. Anche l’errore è in fondo un po’ relativo, così come il corretto e il vero in assoluto, appunto, non esistono. Discuteremo più avanti quest’assurdità, limitandoci a ripetere le critiche decisive che già sono state mosse al Relativismo sul piano filosofico, ma che, ahimè, oggi sembrano per lo più dimenticate.
Per forza. Il Relativismo è molto comodo. A questo deve la sua straordinaria, capillare diffusione.

Ha però dei punti deboli. Il Relativismo ha per esempio bisogno di sostenere che l’unica realtà è quella materiale. Ecco allora che è fatalmente destinato a saldarsi con i materialismo e con l’esito finale di ogni atteggiamento scettico: il sostanziale ateismo.
Se l’unica realtà è quella materiale non siamo più chiamati ad adeguarci ad una Verità superiore, ma, al contrario, possiamo starcene tranquilli nelle nostre contraddizioni, chiusi senza apertura alcuna al Trascendente, in un mondo in cui l’unica verità è quella del divenire universale. Un divenire universale che travolge tutto, la stessa idea di verità, dove l’unica regola del tutto è Polemos, la guerra dei contrari,l’eterna dialettica degli opposti (equivalenti) di cui parlava il grande filosofo Eraclito.

A mio parere la messa in dubbio dell’esistenza della materia è per l’atteggiamento religioso un punto molto vantaggioso. L’alternativa di fondo è infatti tra materialismo e spiritualismo: per il Relativista-materialista l’esistenza di Dio è inutile perché la materia stessa diventa la causa di tutte le cose e di tutte le idee che sono in noi. Si negherebbero di conseguenza ogni disegno provvidenziale, ogni libertà e intelligenza nella creazione del mondo, l’immortalità dell’anima, etc.
L’esistenza della materia è il principale fondamento dell’ateismo. 
Esattamente come nel pugilato: al primo colpo alla madibola, le gambe si fanno pesanti.
Tuuta la spavalderia baldanzosa con cui si indicava il presunto mondo materiale come dato ovvio e certo di ogni materialismo, viene di colpo a tacere.
Il bello è che una volta messa in crisi l’idea dell’esistenza ovvia e scontata del mondo materiale, come alternativa razionale per spiegare l’origine, l’ordine e la bellezza del mondo, non resta che Dio.
Naturalmente si tratta di un’ipotesi poco intuitiva, ma non per questa facilissima da smontare: anzi, io credo impossibile. Ora non m’interessa qui spingere l’argomento fino in fondo, ovvero fino alla radicale negazione dell’esistenza della materia. Credo che sia possibile farlo, è già stato fatto a mio giudizio con grande chiarezza dal vescovo George Berkeley, ma - anche se ci sarebbero ragioni più che buone per arrivare alle estreme conseguenze - in realtà trovo più conveniente mostrare che l’esistenza del mondo materiale è oggetto di fede mentre d’altra parte è assolutamente certa l’esistenza di un mondo “super” fisico, o “meta” fisico o – più semplicemente – spirituale che è facilmente, direttamente ed immediatamente conoscibile da ciascuno di noi.

Lo spirito, non la materia, è per noi la realtà indiscutibile. Si capovolge così la posizione del materialista e nello stesso tempo vengono piuttosto scosse le fondamenta dell’atteggiamento relativista: esiste un ordine di verità che non sono affatto “prodotte” o “dipendenti” dalla mente umana. Quest’ordine di realtà “super” fisica o “meta” fisica – lo si chiami come si vuole – dimostra che la realtà (presunta) materiale non è certamente l’unico ordine o livello della realtà.
Esiste senz’altro un mondo che si manifesta come “materiale” (ovvero: che così viene percepito dalla nostra sensibilità), ma di questo mondo noi non sappiamo dire assolutamente nulla, né se sia così come viene percepito oppure sia diverso etc. Eppure, in questo suo manifestarsi, il mondo risveglia in noi la coscienza di un altro mondo, concettuale, spirituale, metafisico, chiamatelo come volete, ma non per questo meno reale del precedente. 
Anzi: a questo punto le certezze si sono rovesciate e ciò che prima pareva ingenuamente del tutto sicuro ora è oggetto di dubbio radicale, e viceversa.
Gli oggetti logici, gli oggetti della matematica, le classi di proposizioni vere che conosciamo, e chissà quant’altro, appartengono a questo mondo, a questo differente livello di realtà rispetto al mondo fisico presunto materiale.
con questo abbiamo mostrato che l’essere non è popolato delle sole cose che “appaiono” ai nostri sensi. Esistono, in altre parole, diversi gradi, ordini o livelli di essere. Detto questo, la mia riflessione si allontana ancora un po’ dall’Aquinate anche se – ci tengo ad anticiparlo, soprattutto per gi specialisti della materia – sono convinto che alla fine sarà del tutto coerente con il magistero tomista.